RECENSIONI IN BREVE

 

HARD BLUES DEPARTMENT

EARL SLICK "In Your Face"

Dopo la fine dei Dirty White Boy, Earl Slick tornò al disco solo con questo 'In Your Face', recentemente ristampato tramite la sua label personale, un trattato di hard rock blues senza fronzoli, interamente strumentale salvo per due cover ("A Change Is Gonna Come" di Sam Cooke e "Manic Depression" di Jimi Hendrix) cantate dal suo futuro compagno dei Little Caesar, Ron Young. Su "In Your Face", "Surfer Junkie Dude", "Ghost Town" e "Tank", Earl diventa una sorta di Joe Satriani più sporco e molto più blues, "Pick 'N Shovel" è un funk tagliente, insinuante e notturno, "Slow Down Slicky" un classico mid tempo dove la chitarra dialoga con il sax di Edgar Winter. "Austin Boogie Blues" ha un titolo che già dice tutto, un divertente hard boogie che fa molto ZZ Top. Gli ottanta secondi di swing beffardo e veloce intitolati "Across The River" preludono a "Howard Hughes", slow ispido condotto da una chitarra nervosa e debordante tra i flash intermittenti dell'Hammond. "Lullaby For A Redhead" è una ballad incantata, che si risolve in un intreccio di assoli elettrici sul tappeto delle keys. In definitiva: un album, 'In Your Face', non indispensabile ma di certo molto godibile.

INDICE

Metal Blade - 1991

 

HARD BLUES DEPARTMENT

RHINO BUCKET "Rhino Bucket"

Come i The Four Horsemen, anzi peggio. Perché se la band di Frank Starr dimostrava almeno in un paio di occasioni di saper fare qualcosa di più che imitare gli AC/DC, i Rhino Bucket non riuscivano ad andare oltre il "copia & incolla" o il plagio o comunque preferiate chiamare quella cosa comunemente definita "furto", e sempre a danno degli AC/DC. In questo disco non c'è riff che non abbiamo già sentito suonato (e molto meglio) dalla chitarra di Angus Young, né ritornello scandito dalla voce (orrenda) di Georg Dolivo che non sia stato preso in prestito (leggi: fregato) da una qualche canzone cantata da Bon Scott. Davanti a questi tizi, i Dirty Looks o i Kings Of The Sun facevano la figura dei Genesis... Incredibile a dirsi, i Rhino Bucket continuano la loro carriera ancora oggi, acclamati da un ristretto manipolo di sordi o di fessi, con dischi sempre all'insegna dell'appropriazione indebita più spudorata, composti coniugando in tutti i modi ed i tempi possibili il verbo "rubare".

INDICE

Reprise - 1990

 

HARD BLUES DEPARTMENT

JOHNNY WINTER "The Winter of '88"

'The Winter of '88' è l'album più rock inciso da Johnny Winter, bluesman texano dalla carriera gloriosa e tormentata, un disco che tra standard e brani originali ha molto da offrire a tutti gli amanti di ZZ Top e Tangier. Il pigro boogie "Close to Me" sembra uscito dal songbook della band di Billy Gibbons, "Rain" e "Anything for Your Love" sono praticamente AOR blues, "World of Contradictions" è un mid tempo lento e rotolante. "Lightning", dura e cadenzata, e "Show Me" piaceranno ai patiti dei Tangier, entrambe caratterizzate, come "Stranger Blues", da una slide sanguigna. I classici shuffle di "Ain't That Just Like a Woman" e "Looking for Trouble", lo slow "Mother Earth", il rock'n'roll "It'll Be Me", la lenta ed elettrica "Look Away" completano il quadro di un disco in grado di interessare anche chi non bazzica i territori del blues più canonico.

INDICE

Voyager/MCA - 1988

 

HARD BLUES DEPARTMENT

MÖTLEY CRÜE "Mötley Crüe"

Se avessero cambiato moniker, oggi questo album verrebbe ricordato come il masterpiece che è. Ma Nikki Sixx si illuse che la Nirvana generation fosse disposta ad accogliere dei Crüe senza make up e con un paio di gigawatt di elettricità in più. Calcolo sbagliato. Eppure 'Mötley Crüe' resta un signor disco, composto tenendo il 'Black Album' bene a mente, e - tramite la certa mediazione di Bob Rock - addirittura anticipando con le sue chitarre acide quanto i Metallica faranno di lì a poco con 'Load'. La voce devastante di John Corabi faceva letteralmente esplodere "Power to the Music", ipnotica ma pesante come piombo, e "Hooligan's Holiday", che si risolveva in una sorta di anthem heavy e corrosivo. E poi, la grazia suadente e maligna di "Uncle Jack"; "Poison Apples", con il puo party r'n'r sguaiato e metallizzato che non rinunciava al piano boogie, l'heavy blues acidissimo ma melodico di "Hammered", i riflessi zeppeliniani in "Loveshine" (acustica, sexy e solare) e "Til Death Do Us Part" (cadenzata, cupa e luminosa nello stesso tempo), la power ballad "Misunderstood", tra folk e Beatles con un crescendo elettrico e potente.

Chissà che un giorno questo disco non venga ricordato come la cosa migliore incisa dai Mötley Crüe...

INDICE

Elektra - 1994

 

HARD BLUES DEPARTMENT

ELECTRIC BOYS "And Them Boys Done Swang"

Gradito ritorno, quello degli Electric Boys, svedesi fuori dal coro con il loro hard rock bluesy e funkeggiante. Tre dischi all'attivo fra l' 88 e il '94 e oggi questo nuovo 'And Them Boys Done Swang' non cambia le coordinate del loro eclettico sound, fatto sopratutto di un hard funk ritmato e nerissimo ("My Heart's Not for Sale" e "Welcome To the High Times", "The House Is Rockin'" che è quasi una alternate version della "Get a Grip" degli Aerosmith, la più melodica "Put Your Arms Around Me", gli ottoni ed i tocchi esotici di "Rollin' Down the Road" ). "Father Popcorn's Magic Oysters" alterna furibonde sciabolate di chitarra funky a luminosi panneggi melodici, "Angel in An Armoured Suit" è quasi un boogie, beffarda e con un ritmo irresistibile. Anche "Sometimes U Gotta Go Look for the Car" sculetta e si agita che è un piacere, mentre "Reeferlord" è geometrica, heavy, molto anni '70, "The Day the Gypsies Came To Town" suona misteriosa e lunatica, "Ten Thousand Times Goodbye" è una ballad orchestrale che fa tanto sixties, mentre sorprende (piacevolmente) il puro metal californiano espresso dalla fortissima "A Mother of a Love Story".

Per chi ama Sons Of Angel, Extreme e Dan Reed Network, 'And Them Boys Done Swang' è un appuntamento imperdibile.

INDICE

ESCAPE - 2011

 

HARD BLUES DEPARTMENT

BLINDSIDE BLUES BAND "Raised on rock"

 'Raised on Rock' è stata la penultima fatica di questa band coriacea come vecchio cuoio ma capace anche di sorprendere e svariare con eleganza ("Bury the Axe" è uno strumentale con più di un richiamo alle stesure più classiche di Joe Satriani) e rileggere classici senza timori reverenziali (il "Folsom Prison Blues" di Johnny Cash, la "Love is worth the blues" di West, Bruce & Laing): un cocktail di riff pachidermici e parti soliste sempre elettriche, intense, luminose  ed emozionanti che trova la propria apoteosi nel brano nascosto, undici minuti di slow blues fascinoso e notturno contraddistinto da un palleggio di assoli tra il leader Mike Onesko e l'altro chitarrista Scott Johnson, il tutto nel segno dell' hard rock più bluesy, schiettamente anni '70 nella vena di Cream, Grand Funk, Montrose, Free, Jimi Hendrix, Mountain, ZZ Top e compagnia. Irresistibile nella sua devozione ad un sound datato ma riproposto con amore ed onestà, Mike Onesko e la sua Blindside Blues Band sono riservati a chi ama lunghe, a volte interminabili cavalcate sulle corde di una Les Paul collegata ad Marshall in overdrive.

INDICE

GROOVEYARD RECORDS - 2010

 

HARD BLUES DEPARTMENT

LITTLE CAESAR "Redemption"

Che fine ha fatto la band sardonica, beffarda e graffiante di 'Little Caesar' e 'Influence'? Senza la guida di un produttore di vaglia, con un nuovo chitarrista solista anonimo e soporifero, messe al bando le tastiere, hanno confezionato con questo 'Redemption' un disco anemico e noioso. Niente di strano che le cose migliori risultino alla fine le due cover ed il pezzo recuperato da This time it’s different...!!!’. Ron Young è sempre un grandissimo cantante ma finisce per perdersi nel grigiore di un album veramente inconsistente, piatto e banale. Non tutte le band invecchiano bene, e i Little Caesar stanno purtroppo invecchiando malissimo. Che delusione.

INDICE

ROCK CANDY - 2010

 

HARD BLUES DEPARTMENT

VAIN "Enough rope"

Non ho mai capito quali motivi hanno portato critica e pubblico ad alonare di leggenda la band di Davy Vain. Il loro street metal si muoveva sull'asse L.A. Guns - Faster Pussycat con diligenza ma senza grande fantasia: una buona band, certo, ma non una grande band. Questo ultimo 'Enough rope' non cambia di una virgola la formula consolidata: street rock metallico e californiano, minimale, sexy e notturno. "Greener" viaggia su un riff elementare e punkeggiante, "Worship You" e "Triple X" sono selvagge e adrenaliniche, la viziosa "Cindy" è caratterizzata dai guaiti di un chitarra suonata col wah wah, "Treasure Girl" è una power ballad malinconica decisamente Faster Pussycat, bello il pulsare cupo di "The Distance of Love" mentre "Vain" avrebbero potuto scriverla anche i Keel. Davy continua a cantare come un Taime Downe più acuto e meno manierato ed a scrivere bei testi per musica che tutto sommato non ha niente di speciale, salvo il flavour decadente del Sunset Strip di venticinque anni fa.

INDICE

Jackie Rainbow Records   - 2011

 

HARD BLUES DEPARTMENT

THE WHEEL "The wheel"

Questi The Wheel sono una band norvegese che affronta il tema dell'hard rock settantiano con umiltà e diligenza. Hanno un cantante veramente bravo, una sorta di Chris Cornell più acuto e per nulla lamentoso che in qualche frangente porta ad (inevitabili) paragoni con gli Audioslave. Le canzoni? "Stand Up" ha il timbro rauco degli AC/DC vecchia maniera (o dei Cult di 'Electric'), "Love" e "Lost Souls" sono bluesy, notturne, inquietanti, "Tellin' no Lies" è un efficace impasto dei Black Sabbath meno lugubri con i Soundgarden più melodici, "Sparks" parla la lingua dei Bad Company, "Cry of the Night" galoppa via su un riff secco e tagliente, "All the Time" sconfina con ottimo gusto nei territori dello street metal. Meritano un ascolto.

 INDICE

MUSIC BY MAIL - 2011

 

HARD BLUES DEPARTMENT

CHICKENFOOT "III"

Chi considerò il primo disco di questa superband un mero esercizio di riscaldamento prima di cominciare a fare sul serio è stato clamorosamente smentito da questo nuovo album di studio, che rispetto all'esordio rappresenta addirittura un passo indietro. Le coordinate del sound sono sempre le stesse, ma le idee latitano. Su "Alright Alright" sono indecisi se fare il verso ai Cream o ai Free, "Different Devil" sembra venire da un qualunque disco dello Springsteen dei primi anni '80, "Something Going Wrong" è uno spudorato plagio dei Bad Company. Il resto segue la rotta già tracciata da 'Chickenfoot': tanta grinta e i soliti di riffoni di chitarra anni '70: in genere funziona, ma da Joe Satriani e Sammy Hagar uno avrebbe tutto il diritto di aspettarsi qualcosa di più che una routine competente o cover sotto falso nome.

INDICE

Edel - 2011

 

HARD BLUES DEPARTMENT

JOHNNY DIESEL & THE INJECTORS "Johnny Diesel & The Injectors"

L'esordio del cognato di Jimmy Barnes era un piacevole melange di classico rock mainstream sull'asse Springsteen/Mellecamp ("Looking for Love", il brusco cambio di pensiero "Don't Need Love"), crudezza hard australiana ("Parisienne Hotel", ispida e urticante; "Burn", notturna e minacciosa, che servì da spunto ai Neverland per la loro "Talking to you"), squarci di big sound ("Soul Revival"), blues tout court (la cover del classico "Since I fell For You", lo strumentale "Thang II"). La voce ruvida e pastosa di Johnny sapeva adattarsi con disinvoltura alle atmosfere più diverse, la sua chitarra ruggiva o carezzava alternandosi al sax di Bernie Bremond (per nulla fuori luogo anche in un contesto sostanzialmente hard rock), la produzione di Terry Manning era asciutta e vigorosa.  Per chi ama un rock tosto e senza fronzoli, un ascolto indispensabile.

INDICE

CHRISALIS- 1989

 

HARD BLUES DEPARTMENT

GRINGOS LOCOS "Punch drunk"

Quale poteva mai essere il sogno di una band finlandese dedita al southern rock? Ma registrare un album con il produttore storico di Lynyrd Skynyrd e Allmann Brothers Band, naturalmente. Sogno avveratosi nel 1989 per i Gringos Locos, che fatto venire Tom Dowd a Helsinki, lavorarono con lui per tre mesi a questo 'Punch drunk', il miglior episodio della loro  non vastissima (quattro album) discografia. La lingua parlata in prevalenza è quella dell'hard boogie variamente sporcato di metal californiano ("Out of Bounds", "Living on Borrowed Time", "Hot For Your Honey", "Livin' in Your Lovin' Light", "Punch Drunk", "Tunnel Vision"), ma c'è spazio anche per il funk ("Jean Jinx Jane"), un hard rock molto Rainbow ("Straight to Your Heart"), del party metal galoppante e sfacciato (la molto ZZ Top "Party Party"), un divino hard blues da film western ("Done Doin' You Right"), una splendente power ballad dal grande refrain ("Rain") e un divertente "Guitarslinger's Blues" durante il quale i due chitarristi si sfidano a chi suona meglio. Testi mai banali e a volte spassosi ("Hot For Your Honey" è una gustosa storia di corna) sono la ciliegina sulla torta di un disco godibile e trascinante come pochi.

INDICE

Atlantic - 1989

 

HARD BLUES DEPARTMENT

LEE SMALL "Jamaica Inn"

Una bella sorpresa questo esordio solista di Lee Small, dedicato a tutti gli amanti del rock blues settantiano sull'asse Free - Bad Company. Lee canta come un incrocio ideale tra Paul Rodgers e Glenn Hughes (!), il chitarrista Martin Kronlund spicca con interventi solisti sensibili e intensi. Il top sono la title track, lenta e solare; lo slow incantato "The Captain's Quarters", il boogie blues "Walk the Plank"; la melodia agrodolce di "Shine A Light". "Voyager" è un bel mid tempo d'atmosfera, "Smuggler's Blues" alterna parti secche e suadenti", "End of the road" è un classico soul blues. Splendida qualità audio e timbriche sempre limpide e brillanti completano il quadro di un album veramente ben fatto. Il concept piratesco/marinaro non c'entra molto con la musica proposta, ma quanto questo poi conti...

INDICE

Escape - 2011

 

HARD BLUES DEPARTMENT

MANIC EDEN "Manic Eden"

Quest'unico album dei Manic Eden, band formata da tre ex Whitesnake (Adrian Vandemberg, Tommy Aldrige e Rudy Sarzo) e Ron Young, singer dei Little Caesar, era un trattato di hard rock anni '70 nello spirito di Cream, Hendrix, Grand Funk Railroad, AC/DC, primi Aerosmith et similia. Sovrincisioni ridotte all'osso, timbriche di chitarra rauche e sporche, riff tagliati con l'accetta, qualche sparso intervento di tastiere. Ci pensa poi Ron Young a drappeggiare la melodia su questo telaio elettrico con la sua voce calda e rauca. Notevoli le due power ballads, ma anche la tenebrosa "When the Hammer Comes Down" è memorabile, come il funk abrasivo "Pushin' me". Non indispensabile, ma l'alchimia tra la voce di Ron e la chitarra finalmente autorevole di Vandemberg porta risultati eccellenti. Chi ama un hard rock senza fronzoli, polveroso e rude non rimarrà deluso.

INDICE

CNR Music - 1994

 

HARD BLUES DEPARTMENT

WALTER TROUT "Blues for modern daze"

E' la solita storia. Esce un nuovo album di Walter Trout e se ne parla quasi solo su riviste e siti web che si occupano di blues, come se Walter suonasse la stessa roba di Robben Ford o Robert Cray. Eppure da vent’anni quest’uomo ci propone uno strepitoso hard blues al calor bianco, elettrico, debordante, spesso ruvido, carezzevole a volte, violento se è il caso. ‘Blues for modern daze’ ci serve un’ora e venti di blues che passando attraverso il Mesa Boogie di Walt diventa spesso e volentieri hard rock, prendendo la forma di slow luminosi ma pesanti come mattoni, mid tempos dal fragore metallico,  rimembranze western alla Bad Company. Come Gary Moore buonanima, Rick Derringer o Popa Chubby, Walt viaggia attraverso la terra di confine che separa quei due generi contigui chiamati hard rock e blues, indifferente alle etichette, eppure confinato da pubblico e critica in un genere che (come ho già sottolineato parlando del suo 'Tellin' stories') lo rappresenta solo molto parzialmente.

INDICE

Provogue - 2012

 

HARD BLUES DEPARTMENT

PHILIP SAYCE "Peace machine"

Ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare uno dei tanti (troppi) retro rockers che in questo inizio di 21° secolo vanno alla riscoperta della musica dei primi anni settanta del ‘900. Ma Philip Sayce ci offre molto più che un’accozzaglia di riff e l’illusione di aver inciso i suoi album nell’epoca dei pantaloni a zampa d’elefante. Sopra la sua chitarra sempre calda, rugginosa, sporchissima, la voce di Sayce (come un Lenny Kravitz più caldo e meno acido) spande melodia mai banale su un telaio elettrico tramato di nerissimo funk, soul e blues tout court. È questo ordito melodico per nulla scontato a distinguere sopratutto la proposta di Philip Sayce, che sa farsi valere come chitarrista senza soffocarci di virtuosismi o tentare licks che possano farcelo scambiare per un Eric Clapton implume (verificatelo nel favoloso strumentale blues “Alchemy”). Melissa Etheridge, che lo ha avuto nella sua band per diversi anni, l’ha definito  “il segreto meglio custodito del rock”. Un segreto, per fortuna, facilissimo da svelare.

INDICE

Provogue - 2009